The Map Is Not the Territory
Dan Halter
Opening: 12 giugno 2024, dalle 18:30 alle 20:30
dal 13 giugno al 2 agosto 2024
Osart Gallery, Corso Plebisciti 12, 20129 Milano
“Quando i missionari vennero in Africa loro avevano la Bibbia e noi avevamo la terra. Dissero: "Preghiamo". Chiudemmo i nostri occhi. Quando li riaprimmo, noi avevamo la Bibbia e loro avevano la terra.”
― Desmond Tutu
Osart Gallery è lieta di annunciare l’apertura della nuova personale di Dan Halter. La mostra segna il ritorno dell’acclamato artista zimbabwese negli spazi della galleria milanese con un nuovo corpus di opere. La poetica di Halter si concentra ancora una volta su tematiche di sociopolitica, quali i fenomeni migratori e i confini geografici, il postcolonialismo, la linguistica e il cambiamento climatico. Il titolo della mostra, The Map is Not the Territory, nasce dall’esigenza di ridefinire i concetti storici di proprietà terriera, ricchezza e distribuzione della terra nell’Africa post- coloniale in particolare e nel capitalismo globale in generale.
Halter fa riferimento al saggio Discorso sulla disuguaglianza di Jean-Jacques Rousseau (1755), nel quale il filosofo afferma di come il concetto di proprietà terriera abbia causato un’iniquità debilitante, come punto di partenza per mettere in discussione le disuguaglianze attuali. Il Sudafrica, paese di residenza di Halter, è largamente riconosciuto per avere una delle società più inique al mondo. La lunga storia di appropriazione territoriale ha generato enormi ricchezze per i discendenti dei coloni, tendenzialmente bianchi, mentre ha lasciato la maggioranza della popolazione totalmente deprivata di terreni.
Mark Twain, in una delle sue famose massime, chiosa: “Comprate terreni. Non ne fabbricano più”. L’aforisma si è spesso rivelato vero, dal momento che la disponibilità limitata di terra sul pianeta è già stata in larga parte privatizzata. Questo significa che le generazioni future saranno divise tra coloro che appartengono a una stirpe di proprietari terrieri e no. Nei paesi dell’Africa meridionale, il tema è più attuale che mai, poichè la terra più produttiva reclamata dai coloni Europei in epoca coloniale si trova tuttora nelle mani dei loro discendenti.
Opere come Monopoly Discourse on Inequality (2024) e An Outpost of Progress (Colonial Africa – Camo) (2024) offrono un punto di vista critico su questi temi: i testi selezionati sono impressi e intrecciati sulla famosa tavola del gioco del Monopoly e su una mappa dell’Africa in stile mimetico. La pratica concettuale di Halter di intrecciare immagini iconiche (e i riferimenti ad esse connessi di violenza coloniale e pratiche capitaliste) alla critica testuale concomitante, crea un doppio effetto critico. Tale effetto nasce dalla familiarità visiva, che viene aumentata e intensificata dalla complessità della tecnica utilizzata.
Un altro tema pressante nella pratica artistica di Halter è la crisi del cambiamento climatico, visibile in lavori come The Pale Blue Dot e The Social Contract Warming Stripes. Al di là dell’urgenza pressante del problema, queste opere fanno sorgere domande sulla rilevanza che il Contratto Sociale di Rousseau possa detenere ad oggi, o se abbia ancora senso che i popoli continuino a riporre fiducia nei rispettivi governi nazionali. Una domanda sulla quale Halter si interroga è se i governi democratici non stiano piuttosto cedendo il posto al potere delle multinazionali, e quale impatto avrà questo paradigma sul benessere della società. Il lavoro di Dan Halter mette in discussione le motivazioni di profitto del capitalismo e la natura entropica dei sistemi di governo democratici.
BIOGRAFIA
Dan Halter (1977, Zimbabwe) vive e lavora a Cape Town, Sudafrica. La sua pratica è influenzata dalla sua storia di zimbabwese residente in Sudafrica. Attraverso l’utilizzo di materiali di uso quotidiano in entrambi i Paesi, Halter impiega il linguaggio artigianale e della curiosità come strategia visiva per articolare diverse problematiche all’interno del contesto artistico. Attraverso l’utilizzo di fotografia e video, inoltre, Halter affronta le nozioni di un’identità nazionale dislocata e le politiche dello Zimbabwe postcoloniale che abbracciano l’intero contesto africano.
Tra le mostre personali recenti si ricordano DNA Halter: Language is a Virus a WHATIFTHEWORLD, Cape Town (2023), Get Out of Jail Free a WHATIFTHEWORLD, Cape Town (2021), Money Loves Money, a Osart Gallery, Milano, Italy (2021); Plenty Sits Still, Hunger is a Wanderer a This Is No Fantasy, Melbourne e Cross the River in a Crowd a WHATIFTHEWORLD, Cape Town in 2019. Halter ha preso parte a numerose collettive, tra cui US alla South African National Gallery, curata da Simon Njami, Zeitgenössiche Fotokunst aus Südafrika al Neuer Berliner Kunstverein (NBK), Energy Flash – The Rave Movement, MHKA (Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen), la 16a e la 17a edizione di VideoBrasil (São Paulo) nel 2007 e nel 2011, la 10a Havana Biennale nel 2009, la Dakar Biennale nel 2010 e Earth Matters: Land as Material and Metaphor in the Arts of Africa allo Smithsonian Museum of African Art Washington DC, USA nel 2013 e This is not Africa Unlearn what you have Learned all’Aros Museum Denmark nel 2021.
Le opere di Dan Halter sono incluse in numerose collezioni pubbliche e private, sia locali sia internazionali, tra le quali: The South African National Gallery; UNISA (University of South Africa), University of Cape Town; Scheryn Art Collection, Cape Town, Sudafrica; SAFFCA (Southern African foundation for Contemporary Art) Collection; Artphilein Collection, Ticino, Svizzera; Pigozzi Collection, Ginevra, Svizzera; la prestigiosa Rennie Collection, Vancouver, Canada; Foundation H Madagascar; Albright–Knox Art Gallery, Buffalo, New York; Tiroche Deleon Collection, Israele; National Gallery of Victoria, Southbank, Australia; Stichting Droom en Daad, Rotterdam, Paesi Bassi.